1. |
Frizullo
04:34
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Frizullo
per Alfredo Simone
La notte color del vino vomitò ancora una nave
carica di kurdi, una nave carretta - come si dice - dal mare
una nave disperata, della solita disperazione
salpata dalla Turchia rotta contro l’illusione.
Sulla fiancata graffiata, scavata una scritta misteriosa:
«Frizullo» diceva: un nome, un monito, qualcosa…
Cosa vorrà mai dire? un Dio, un tribuno, un’accusa?
Sul fianco di quella nave una ragione, una scusa?
Che cosa ancora brilla dal fondo senza ritorno?
Che cosa ci tiene in piedi, che cosa ci tiene a giro?
Increspato di schiuma c’è chi tenta un respiro
sentinella nella sentina da che parte viene giorno?
«Frizullo» non è una parola di una lingua proibita
non è un codice sacro, né una sfida agguerrita
«Frizullo» è un nome storpiato, precisamente un cognome
sta per «Dino Frisullo», come dire, attenzione!
Noi siamo i suoi amici, i parenti, i suoi protetti, i suoi figli
siamo quelli di Frisullo, dischiudete gli artigli
e lasciateci passare, alla faccia dell’assassino
è una lotta per la vita, ci dà una mano Dino…
Sentinella pallida e assorta nel mezzo del fumo grigio
c’è qualcosa che schiude i denti, che telefona e sfida
però se tendi l’orecchio qui tutto quanto grida
e ride mentre tu dormi la morte del pomeriggio.
Dino Frisullo fu un militante di Avanguardia Operaia
poi finì il sessantotto e si archiviò la battaglia:
«Contrordine compagni, non si cambia più il mondo
anzi, cambiatevi d’abito e restate sul fondo»
Ma Dino Frisullo sul fondo inciampò nella coscienza
come una bomba innescata, un futuro di resistenza
e fondò e fuse e diffuse più d’una associazione
lo scopo? Salvare il mondo, pensa che ostinazione!
Capitano, la mia casa fa acqua, s’è diroccata
i tappeti marciscono e tutto mi sembra idiota
c’è musica in ogni bar, ma non si muove una nota
l’annunciatrice annuncia il programma della serata.
Dino Frisullo era dietro tutti i migranti, sempre presente
fu arrestato in Turchia e condannato, innocente
ma di quell’innocenza aggressiva, che non è una consolazione
e quando fu liberato tornò in trincea con quel nome…
Che perciò i kurdi se lo scrivevano sul fianco d’ogni barcone
«Frizullo», «Firosillo», insomma: grande protezione
e mentre un tumore se lo portava in un lampo
aveva l’aria scocciata come per un contrattempo.
C’è ancora una nave a Brindisi che il nero non inghiotte
che il buio non s’è mangiata col suo passo sicuro
da lì qualcosa ancora sta fissando lo scuro
sentinella, sentinella a che punto resta la notte?
Sentinella tu dimmi a che punto è la notte.
17 luglio 2006
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2. |
Canzoni da amare
02:09
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Canzoni da amare
Vogliamo canzoni da amare
che il vento ripari la pioggia
vogliamo canzoni dal mare
mai più canzoni da spiaggia.
Vogliamo canzoni più vere
così come i sogni sognati
dal fondo di ogni bicchiere
la nave di Jenny e i pirati.
Vogliamo canzoni più amare
della melassa per radio
che mente parlando di cuore
un miele di male e di jodio
canzoni al cloruro di sodio
miniere stillanti salgemma
di amanti sfondanti l’armadio
ribelli a ogni stratagemma.
Vogliamo canzoni per aria
debutti dal primo di maggio
la canta cronaca varia
del nostro grandissimo viaggio
la vita che puoi raccontare
la musica della parole
vogliamo canzoni da amare
e qualche canzone d’amore.
gennaio 2009
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3. |
Addio Morettin
00:22
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Addio morettin ti lascio finita è la mondata
tengo un altro amante a casa tengo un altro amante a casa
Addio morettin ti lascio finita è la mondata
tengo un altro amante a casa più bellino assai di te
Più bellino e più carino, più sincero a far l’amore…
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4. |
Risaie
02:31
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Risaie
Va come Cristo un treno sopra l’acqua
la gazza è lì posata che non pesa
sta tutta ristagnante una risacca
della memoria in polvere sospesa…
Risaie, risaie, risaie, risaie i chicchi bianchi della fame nera
risaie, risaie e polvere in terra fra i sassi alla stazione di Novara.
Il corpo della Mangano si sfalda
In fondo alla farina di ‘sti grani
rincorre l’onda soffocante e calda
del blues che ci cantava la Daffini.
Risaie, risaie, risaie, risaie la croce della fame che sta fissa
risaie, rintocchi dei giorni di festa, odore di campane e di panissa.
E vanno ancora tristi sul lavoro
queste mondine al duro faticare
precari che non sognano più in coro
sfruttati che non sanno più cantare.
Risaie, risaie, risaie, risaie di noia che ci abbraccia e fa fratelli
risaie invasate di gioia e dolore fin dall’acciottolarsi di Vercelli.
febbraio 2007
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5. |
Monte Calvario
03:13
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Monte Calvario
Intanto il mattino arriva veloce
e Cristo che corre con tutta la croce
morire e risorgere in otto ore appena
che prima di cena sul Monte Calvario
gli danno il salario.
Intanto la sera arriva pesante
e Cristo ritorna alla casa distante
la testa sul piatto gli apostoli stanchi
lo guardano appena lui mangia gli avanzi
dell’ultima cena.
E intanto il mattino ritorna veloce
e Cristo si sveglia riprende la croce
migliaia di cristi che vanno a lavoro
e pregano in coro per farsi ammazzare
per dio pendolare
e quando la sera lo schiodano e scende
un sorso d’aceto così si riprende
per oggi il salario è un pesce e due pani
le guardie saluta col sangue alle mani
dicendo «a domani».
Intanto la sera arriva alla fine
si veste, uno straccio corona di spine
arriva in ritardo insieme a un ladrone
gli dice il padrone “rispetta l’orario
di monte calvario”
Arriva la sera e appena staccato
lui va nell’ufficio di Ponzio Pilato
il capo gli mostra il contratto in scadenza
nei prossimi mesi per la concorrenza
dei cristi cinesi.
Ritorna il mattino è giorno di festa
ma cristo s’è messo la corona in testa
a Monte Calvario fa presto ritorno
è un ipermercato perciò in questo giorno
si fa il doppio turno.
Arriva a lavoro lo inchiodano in fretta
ma solo alle mani dispone la ditta
che da qualche mese riduce le spese
perché costa troppo attaccare anche i piedi
risparmiano i chiodi.
Finisce anche questa giornata di merda
lo calano in terra legato a una corda
sarà licenziato perché ha fatto un torto
a Ponzio Pilato e dopo che è morto
non è più risorto.
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6. |
Spartaco
03:56
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Spartaco
Per Roberto Roversi
Dicono fosse alto, bello: un pezzo di manzo il Tracio
e che quando scoccasse un pugno suonasse come un bacio
disertore alla macchia, poi schiavo, gladiatore
generale ribelle e liberatore.
Ottanta legioni col vento nella chioma
li crocifissero nudi dalla Lucania a Roma
ma dal momento che il suo corpo non lo seppero trovare
sono autorizzato a pensare stia lì lì per tornare
Spartaco, Spartaco, Spartaco… con tutti i suoi spartachisti.
Era un'anatra zoppa, una rosa feroce
le ali nel cappello, il vento nella voce
era un'aquila polacca con gli occhi di stagnola
artigliata all'amore come quando si vola.
L'arco sopraccigliare le fu spaccato sulla fronte
una fucilata in bocca e poi... Hop! Giù dal ponte.
Irriconoscibile Rosa ripescata il mese appresso
penso risalga il fiume, credo che torni adesso
con Spartaco e tutti i suoi spartachisti.
E poi storia di catene tutte scosse
dal fantasma dell'Europa con la tosse
col rumore che fa il nulla mentre sale
questi turni sempre più mettono male
con i camion scaricati nel mercato
le cassette a botte di caporalato
le caselle del lavoro interinale
e gli eterni turni e pausa all'orinale
come un bacio che non sai se sia una tregua
se preceda l'amore o se lo segua
quando è troppo è troppo e un calcio nel sedere
dato al soprastante, al satrapo, al cantiere.
Così se ne va come i giornali al vento
i giornali gratuiti - beninteso - però è contento
così uguale che non fu riconosciuto
la riconoscenza inizia dal rifiuto.
Così se ne va col vento giornaliero
nel cartoccio bisunto di un pensiero
fa pensiero a una rivolta nuova nuova
lo dicevo, lo sapevo che tornava
Spartaco.
Ottobre 2005
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7. |
La scoperta di Milano
04:44
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La scoperta di Milano
Per l’Architetto Orsi
il mio primo milanese
E giunsi al gran deserto di Milano
che io non ero mica ancora un uomo
lontano, fondo azzurro di bottiglia
coperto Duomo di sale e conchiglia.
Sorgeva come Ulisse dal suo male
nessuno mi correva incontro e niente
e vento che pioveva in faccia e sole
illumina Milano alla sua gente.
La gente al capezzale del moderno
lo popola di tanta indifferenza
che non fa differenza qui d'inverno
il vano passeggiare dell'assenza.
Milano sembra proprio respingente
però serba un segreto, un'illusione
l’ho vista giù dal tram che rotolava
di nuvole, di case, di persone
e come in giostra vedo via volare
di un mondo cosiddetto “di colore”
di nuvole di case e di persone
di tante luci spente di passione.
E stetti alla scoperta di Milano
che cominciavo ad essere un po’ io
ca cinca bene quai nun ‘mbe nisciunu
“rumiti senza cerca e senza diu”.
Mi piacque stà città o, forse peggio,
mi sono abituato alla sua faccia
a me concede il triste privilegio
di riconoscerla in qualsiasi traccia.
Di navigare in questa grigia essenza
all'improvviso in Vico Lavandare
che lavano la grigia quintessenza
di stanze che mi danno da cantare.
È fatta questa mia città di pietra
ed io non so che amarla e non so cosa
vengo da Lecce a stringer piazza Vetra
le sbarre della mia prigione e sposa
e come in giostra vedo via volare
di un mondo cosidetto "di colore"
di nuvole di case di persone
di tante luci accese di passione.
La nuvola che chiamano Milano
ormai mi tiene stretta a questo mondo
e mentre insieme stiamo andando a fondo
«Ué - le grido – diamoci la mano».
E getto il mio sorriso poveraccio
ed agito le mani da uno scoglio
cerco il futuro uscendo dal Libraccio
e guardo l'altra sponda del naviglio
guardo il futuro uscendo dal Libraccio
e cerco un'altra sponda del naviglio…
Febbraio 2005
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8. |
Icaro
04:20
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Icaro
Per Marta
Io non accuso il soffio di burrasca
che ha riappiccato la fiamma del mio petto
preso d’assedio e poi tenuto stretto
e poi la resa più dolce che conosca
io non rimpiango il volo della mosca
che contro il vetro spinge le ali al sole
che, come Icaro, brucia perché vuole
toccar lampade accese, portarsi il fuoco in tasca.
Esco tra voi la luce nelle mani
sorrido, parlo e dico cose futili
innalzo persino argini inutili
contro il pensiero che inonda ogni domani
ogni ora futura, io amo ed ho paura
perché amore nella tua bocca amara
mi tieni l’anima stretta tra i denti
e sono cinque, son dieci, sono venti
sono cent’anni che sbaglia e non impara:
quanta fatica avara.
Perché amore nella tua bocca amara
mi tieni l’anima stretta tra i denti
e sono cinque, son dieci, sono venti
sono cent’anni che sbaglio e non imparo
quanta paura.
Esco tra voi col viso d’ogni giorno
ma mi nascondo dentro un turbine radioso
mi chiudo in petto un male insidioso
che non ha cura io amo ed ho paura
e non rimpiango la vita d’ogni giorno
cui indifferentemente passo affianco
e incomprensibilmente non mi stanco
di questa mia tortura io amo ed ho paura
e non accuso la bellezza straordinaria
che mi sprofonda scafandro in fondo al mare
solo vorrei prima che manchi l’aria
capire se tu mi potrai mai amare
prima di soffocare se tu mi puoi amare.
Perché è amaro nella tua bocca amore
sentirsi l’anima stretta fra i denti
scavate gallerie, gettate ponti
sono cent’anni che vivo di paure.
Questo dolore che ansima e travolge
danzalo amore, non farlo più tornare
travolgi ogni paura d’amare
e dammi un bacio con la tua bocca dolce
...e dammi un bacio con la tua bocca dolce.
Febbraio 1998
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9. |
Dormi, dormi...
01:34
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Dormi, dormi. Dormi dormi fija mia
che l’amore va giranno pe la via.
Tu dormi, dormi, fai la ninna fai la nanna
Che l’amore te risveja e poi te inganna
Tu dormi, dormi. Dormi dormi bella mia
Che l’amore te da un bacio e poi va via…
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10. |
I baci
03:31
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I baci
I baci son l’ultima barriera
oltre la quale non ci si vede
quando al confino della sera
il buio t’abbraccia e poi si siede
ad aspettare baci alla riva
ho imparato a guardare il mare
il cavallone furioso che arriva
l’onda disfatta che scompare.
Eppure si torna sempre dai baci
a fare breccia in ogni faccia
ad agitare le antiche braci
e che ogni pianto così si taccia
tutti si fanno zitti ed attenti
se un bacio si sta dipanando
corre coi fiumi, scavalca i ponti
getta le funi da tutto il mondo.
Il primo bacio lo aspetto al mattino
e col caffè mi ci consolo
in bicicletta mi ci rovino:
se penso ai baci mi sbatto a un palo!
Il primo bacio lo aspetto ancora
quando finiscono le otto ore
quando il tramonto sembra l’aurora
finisce il lavoro, riparte il cuore.
Io mi ricordo molto meglio
il primo bacio del primo amore
alle sette mi ci risveglio
con sulle labbra il buonumore
e quando in coppia tutto sta stretto
quando la vita ti si spacca
con chi non ami puoi andarci a letto
ma vengono male i baci in bocca.
L’amore c’ha sempre un surrogato
un solitario candido volo
sarà natura, sarà peccato
ma i baci…
quelli non puoi darteli da solo.
Il primo bacio sul divano
lo aspetto parlando, parlando di tutto
e fra me e me mi dico piano
«ti prego fammi stare zitto».
Un giorno son nato e mi hanno fregato
mi hanno piazzato nelle mie suole
ad affrontare il silenzio armato
armato di inutili parole
e poiché vivere ormai mi tocca
provo a star dritto sulla schiena
ma quando mi arriva un bacio in bocca
mi pare quasi che valga la pena.
Giugno 2008
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11. |
Insulina
04:04
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Insulina
per Patrizia
È una malattia di grumi dentro il sangue
dove arranco quando corro in bicicletta
prendo tempo perché c’ho fin troppa fretta
di arrivare esangue fino a un’altra notte
ti spalanchi e poi mi dici «Che ti piace?»
me mi piace quando un ricciolo frappone
la terribile bellezza della faccia
che non dà respiro, scinde, mi scompone
me mi piace quando mi levo le lenti
e ti colgo d’ombra liquida e sfuocata
poi man mano che avvicino i passi lenti
ti fai coppa d’ambra languida e infuocata.
È una malattia che sanguina nel sangue
che risvegli, che sonnecchi, che sconvolga
che mi stia di fronte, sia la fonte, imponga
che non c’è insulina che mi ti disciolga
quando guardo che ti curi o ti suicidi
che t’innietti nella folla della vita
che tracanni e che soffochi e che ridi
che sei tanto viva che non hai l’uscita
che sei tanto viva che un po’ mi spaventi
ma se un ricciolo frappone una barriera
per fortuna fra i tuoi occhi nella sera
trovo il tempo di un respiro fra due canti.
17 settembre 2008
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12. |
Matteotti
03:21
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Matteotti
Un vento duro e ghiaccio si fa dai Pirenei
strada fra fango e roccia per arrivare a noi
mi prende al collo e blocca mi fa star zitto e duole
mi prende a calci in bocca nel guanto del dolore
e non c’è sogno che si spinga più in là del sonno
non c’è risveglio dall’incubo di tutt’attorno
non c’è ragione, non c’è follia o coraggio
e non c’è viaggio che spinga il viso oltre l’oltraggio.
Questo Natale a casa si giocherà a tressette
per far morir qualcosa: inverno trentasette
e la miseria è un orlo al bavero scucito
tu scivoli e nel farlo ti aggrappi all’impiantito.
Così di niente in niente si va per acquiescenza
si smette d’esser uomini, si avanza nell’assenza
si smette l’aria, si smettono gli abiti usati
lo strazio delle libertà, gli stracci accumulati.
Disse mia moglie «aspetto un figlio per quest’anno»
anima benedetta, speranza nell’affanno
Giacomo lui che viene che si chiamasse come…
«Giacomo mi sta bene, Giacomo è un bel nome».
Così io quando chiamerò mio figlio a voce alta
ricorderò che c’era, che ci sarà ogni volta
qualcuno che con gli occhi fissi nel buio triste
guarda la morte in faccia, la guarda e le resiste.
Così ogni volta che io Giacomo in queste notti
di questi anni matti coi sogni che interrotti
nasconderò il nome di chi vive e muore
di amore della vita, di morte dell’amore.
Piazza Montecitorio
là c’è una salita
presero Matteotti
e ci lasciò la vita
Dicembre 2004
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13. |
Rosa Bianca
03:28
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Rosa Bianca
Rosa, Rosa Bianca, dove sei svanita
son tornati i fiori sulla passeggiata
qui la vita intera sembra rifiorita
qui fra i rampicanti della risalita
fra tutti rimpianti c’è qualcosa in più
con tutti gli assenti manchi pure tu.
Vedi sono assente
canti una canzone
senti tutti i pianti
fin dal carrozzone
tenti tutti i canti, cosa fai? Ti muovi?
Cosa fai? Ti fermi e aspetti i tempi buoni?
Cosa fai? Ti fermi e resti bello stanco?
Cosa vedi quando guardi un uomo affianco?”.
Rosa Bianca, Rosa, bianca e coraggiosa
ti pareva il caso, ti sembrava cosa?
quanto poco tempo, tanto quanto amore
quando t’hanno detto qui chi ama muore
quanti fiori al vento, come fogli in volo
sopra i passi svelti dell’amore solo.
Se l’amore fugge
vallo ad inseguire
quando arriva il tempo
cosa vuoi capire…
Avrei preferito aspettare sera
per avere tempo per la primavera
pure mi son scelta d’essere così
pure sono fiera di esser stata lì…
Ora sopra il muro
proprio affianco al nome
passan gli studenti
vanno alla lezione.
Tornan gli studenti e se ne vanno a casa
e la luna bianca tinge il cielo rosa
e la luna stinge, poi si va posare
come un foglio bianco che non puoi strappare.
Oggi c’era un sole che mandava braci
c’eran due ragazzi che si danno i baci
c’era un cielo splendido e un ricordo amaro
m’è sembrato tutto, tutto molto chiaro
m’è sembrato chiaro, bello e senza età
come rose bianche della libertà.
Aprile 2005
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14. |
Corso Regina Coeli
00:32
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Corso Regina Coeli c’è una salita
dove Matteotti lasciò la vita.
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15. |
Isabella di Morra
03:30
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Isabella di Morra
Sopra la rocca c'è Isabella, anima mia
consuma gli occhi e guarda il mare
messa in prigione dai fratelli, bella mia
chi può venirla a liberare?
D'un alto monte onde si vede il mare
miro sovente io, tua figlia Isabella
s'alcun legno spalmato in quello appare
che di te, padre, a me porti novella.
Gioca alla morra le sue carte, anima mia
è pugno, è pietra, è una carrozza,
è tuo fratello sulla soglia, bella mia
è lui la forbice che sgozza.
Ma la mia incerta e dispietata stella
non vuol ch'alcun conforto possa entrare,
nel tristo cor, che di pietate è nulla
l
a salda speme in pianto fa mutare.
Sopra la rocca il vento vola, anima mia
il mare frange nella gola,
la vita aspetta sola sola, bella mia,
che poi si chiuda la tagliola.
Ma non veggo nel mar remo né vela,
così deserto è l’infelice lido
che il mare solchi o che lo gonfi il vento
io non veggo nel mar remo né vela.
Contro fortuna allor spargo querela
e tengo in odio il denigrato sito
come sola cagion del mio tormento,
contro fortuna allor sporgo querela.
Sopra la rocca c'è Isabella, anima mia
ha chiuso gli occhi e cerca il mare
messa in prigione su una stella, bella mia,
chi può venirla a liberare?
Novembre 2006
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16. |
Difendi l'allegria
05:18
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Difendi l’allegria
Liberamente tratta da
una poesia di Mario Benedetti
Difendi l’allegria come una trincea
difendila dallo scandalo e dall’abitudine
difendila dalle miserie e dai miserabili
e dalle assenze transitorie e da quelle definitive.
Difendi l’allegria come un principio
difendila dallo stupore e dal dolore
difendila dai neutrali e dai neutroni
e dai gran permalosi e dalle gravi diagnosi.
Difendi l’allegria come una bandiera
dai colpi di fulmine e dalla malinconia
dai finti ingenui, dalle vere carogne
dai discorsi retorici, dagli attacchi cardiaci
e dai mali endemici e dai baroni accademici
Difendi l’allegria come un destino
difendila dal fuoco e dai pompieri
dai tentati suicidi, dai riusciti omicidi
dai lavori usuranti, dallo stress delle ferie
e dall’obbligo di stare allegri, tutti allegri, in serie.
Difendi l’allegria come una certezza
difendila dalla ruggine e dalla fuliggine
dalla famosa patina che il tempo vi depone
e da chi dell’allegria fa una prostituzione.
Difendi l’allegria come un diritto
difendila da Dio e dall’inverno che viene
da tutte le maiuscole che la morte impone
dalla vita contorta, dalle pene del caso e dai pensieri cinici
e soprattutto difendi l’allegria dai comici.
Marzo 2011
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17. |
Esecuzione produttiva
00:36
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18. |
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La piazza la loggia la gru
Per Marina e Bruno
La piazza, la loggia, la gru s'incrociano come in un campo di guerra
frustata dal vento la pioggia s'infogna ed in rivoli va sottoterra
si perde nel buio obbligato di vicoli, trame, di oscure vicende
del tempo che passa, che passa, e non cura il dolore però lo sospende
sospesi al vento, sul braccio di una gru ci sono sei lavoratori immigrati
saliti nel vento d’autunno per trentasei metri e rimasti aggrappati
a un esile filo a un pensiero, ad una speranza che brucia le ali
che gli uomini in fondo al futuro, mondati dall'odio, si svelino uguali
li prendono in giro i lavoratori stranieri / parlano di sanatorie e poi sono storie / inapplicabili tranelli legali / balzelli contro i più poveri / da anni venuti in Italia / sfruttati, derisi / fra il bisogno e la paura / paura di mostrare il viso o d'incontrare una divisa che ti dica
«da oggi non ci puoi più stare» / e così al mattino lavori / la sera ti chiudi in casa / e muori di nostalgia. / La pubblica via è un sofisma, c'è tutto un paese fantasma / l'identità è una carta / una corta illusione, una strana nazione
qui Brescia, qui nord produttivo / qui angoscia dal giorno che arrivo / qui niente sembra più vivo / la piazza è un deserto / trentasei anni fa / fu un luogo aperto / di speranza e di dolore
era un porto di resistenza ed amore
(il 28 maggio 1974 c'erano in piazza lo studente e il professore
perché un mondo migliore inizia da una scuola migliore).
Sui banchi di Piazza Loggia cade una pioggia che macchia di scuro
come l'inchiostro della sentenza che abbiamo lasciato al futuro
per raccontare ai nipoti dei figli l'assurdo segreto di stato
dei morti arrivati per caso nell'ora sbagliata e nel posto sbagliato
otto morti sbranati dall'urlo, il furore, dai canti assassini
lo scoppio, lo scolo di sangue in fretta pulito, lasciato ai tombini
passati dieci anni, vent'anni, trentasei anni quel lutto s'è stinto
si acceca il ricordo, e muore memoria, e il lutto è un pensiero indistinto
e trentasei anni più tardi, trentasei metri sopra tutto questo
sei lavoratori stranieri resistono ad ogni costo
dal trenta di ottobre aggrappati a una gru stanno guardando dall'alto
un mondo fantasma che in basso
ha perduto la sua strada nell'asfalto
Arun, Jimi, Rachid, Sajad, Singh, Papa
i nomi, il sudore, le ore, i bulloni, le viti, s'inciampa, si crepa
Papa, Singh, Arun, Sajad, Rachid, Jimi
al dieci novembre son stanchi e due fra di loro scendon per primi
ancora il freddo, il vento, la gru e il quindici undici solo
gli eroi della disperazione cedono infine e scendono al suolo
al quindici di novembre scendono piolo per piolo
mentre otto mute presenze
da Piazza Loggia stan prendendo il volo
otto angeli custodi che si fanno sotto le braccia
di croce della gru, nel vento che brucia la faccia
nel freddo che fa lacrimare, Arun e gli altri hanno chiesto
«chi siete voi che venite quassù a prendere il nostro posto?»
Son Giulia Banzi Bazzoli donna, madre insegnante
uscita un mattino di maggio per fare una cosa importante
ho corpo d'amore ed ho voce, schiantata in un portico, rotta
aspettami dissi a mio figlio… è trentasei anni che aspetta.
Ed io impregnata di pioggia son Livia Bottardi Milani
la pioggia che insanguina maggio, la pioggia che lava le mani
di quelli che misero bombe che sperano il tempo cancelli
le tombe nel mare ai migranti, ma loro rimangono quelli.
Io Pinto Luigi emigrante, come voi, ma venuto da Foggia
per lavorare nel Nord, col sangue mischiato alla pioggia
tornai stretto dentro una bara, la schiena straziata di schegge
l'Italia riunita col sangue che ancora discrimina e che non protegge.
Io, Natali Euplo / fui partigiano qui a Brescia / di colpo mi prese l’angoscia / e venni in piazza a vedere / quanto la liberazione / avesse lasciato in cantiere / cosa restasse da fare / e venni in piazza a morire / con Bartolo Talenti / e con Vittorio Zambarda / eravamo in tanti: / noi “vecchi” di Piazza Loggia / vecchi per modo di dire / pronti ancora a salire / in alto sul posto di guardia / perché chi è vecchio ricorda / e guarda con la stessa angoscia / che l’orizzonte rovescia / il vecchio fascismo di Brescia / nel nuovo razzismo leghista.
Amore ci insegna un percorso che c’è dalla piazza alla gru
amore che non sciolse allora che non può scioglierci più
amore che libera e sfida, ditelo ai vostri scolari
a nome di Alberto Trebeschi e di Clementina Calzari
Finche morte non ci separi, le frasi di rito un po’ orrende
noi fummo moglie e marito e il modo ancora ci offende
col quale una bomba feroce dentro una piazza di maggio
venne a disfarci la voce, volle spezzare il coraggio
ma è amore che ancora ci porta da quella piazza alla gru
coraggio pietà non è morta e resta aggrappata lassù.
Il 15 novembre 2010 a Brescia i lavoratori immigrati scendevano dalla gru proprio mentre la sentenza sulla strage di Piazza Loggia poneva una pietra tombale su quelle otto vittime. Nessuno è stato, pare, dunque continua la lotta.
Novembre/dicembre 2010
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19. |
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Dormi dormi Malatesta
che la storia sta girando
come un corvo dalla luna declinando
dormi, dormi nel tuo letto,
di quella cassa zincata
ti sorvegliano da presso
nella notte sigillata
Dormi dormi Malatesta
che qui ora è tutto a posto
ogni giorno si ridesta
ogni cosa col suo costo
l’uguaglianza è un’uniforme
la si calza e via di corsa
la giustizia un bene enorme
l’han quotata pure in borsa
Dormi dormi Malatesta
grattacieli di dolore
innalzati come pietre sopra il cuore
di quel caos tanto malato
che chiamiamo nostra vita
del pensiero che la gioia
sia l’ennesima ferita
Dormi dormi Malatesta
penseranno i dirigenti
a dirigere la festa
digerire anche i frammenti
della terra cruda zolla,
stretta e a corto respiro
mentre il boia che non molla
ti garrotta ancora un giro
Ninna nanna Malatesta
come vedi tutto bene
sul dirupo del futuro
l’obbligo delle catene
si dovesse mai pensare
che chi va poi non ritorna
dentro questa solitudine ultramoderna.
Sveglia sveglia Malatesta,
Pietro Gori, Bakunino
allo squillo della tromba
fate nascere il mattino
capi di buona speranza
per doppiare la passione
carcerati nella stanza,
presto una rivoluzione.
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Alessio Lega Italy
Alessio Lega è uno dei cantautori più conosciuti e stimati della sua generazione, ma è anche uno scrittore e militante
anarchico.
Scrive canzoni, canta, suona la chitarra, ha pubblicato dischi e libri a proprio nome e partecipato a decine di opere collettive. Ha messo in scena centinaia di spettacoli, conferenze e concerti sulla canzone d’autore mondiale e sulla musica popolare e d’impegno.
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